QUELLO CHE LE DONNE (FORSE) NON SANNO
Finalmente hai trovato l’amore…quello vero! Però qualche volta lui è nervoso, è capitato che durante un litigio ha alzato la voce, ti ha insultata, ti ha dato uno schiaffo, dopo si è pentito, ha chiesto scusa, ha detto che non succederà più. Ma così non è stato…lui ti ama ma è violento.
Potresti non sapere che il suo atteggiamento nei tuoi confronti non solo non è amore ma dal nostro ordinamento giudiziario è considerato di rilievo penale tanto da essere sanzionato con la reclusione se ripetuto nel tempo oppure pur se occasionale, si verifica con gravi aggressioni contro di te.
Maltrattamenti in famiglia ( art. 572 c.p.)
Se maltratta te, moglie, convivente oppure una persona della tua famiglia che convive con te si configura il reato di maltrattamenti contro familiari e conviventi (572 cp) che prevede un aumento di pena se da essi derivano lesioni sul corpo.
Una tua denuncia alle forze dell’ordine, rivolgerti ad un centro antiviolenza, potrebbe salvare la vita a te e ai tuoi cari.
Percosse (art. 581 c.p)
Potresti dire che lui non mi provoca lesioni sul corpo però ogni tanto ti da uno schiaffo e che non fa tanto male, non lascia segni sul viso, ebbene devi sapere che anche quella è violenza e che è considerata un reato (581 c.p) perché non fa parte di una relazione sentimentale ma di un modo di tenere il partner sotto il proprio controllo mortificandolo fisicamente e moralmente.
A seguito delle percosse non riesci per il dolore a fare le cose che facevi di solito? L’ordinamento giudiziario ti tutela, mette a tua disposizione delle misure che evitino a te e alle persone care che succeda qualcosa di irreparabile, che si inneschino una catena di eventi che possano sfociare in gravi conseguenze.
Omicidio preterintenzionale (art. 584 c.p.)
Anche da una “semplice” aggressione fisica potrebbe scaturire la morte di una persona pur se l’aggressore non vuole provocarla (584 c.p.)
Per i reati di lesioni e omicidio preterintenzionale la pena è aumentata se questi avvengono in occasione della commissione del reato di maltrattamenti in famiglia o di violenza sessuale, se agiti da parte dello stalker nei confronti della persona offesa o se commessi contro il coniuge.
Atti persecutori (art. 612 c.p.)
Ti capita che un tuo ex ti perseguiti, dimostrando ancora “amore” e “gelosia” e per questo sei in ansia, temi per la tua incolumità, cerchi di cambiare le tue abitudini per evitare di incontrarlo oppure di sentirlo al telefono?
Questo è quanto accade se il tuo ex partner commette il reato di atti persecutori (“cd stalking, 612 bis c.p.), non lasciandoti libera di decidere di lasciarlo, di continuare la tua vita come facevi prima di incontrarlo, di provocarti timore perché non sai se lo troverai sotto casa ad aspettarti oppure se continuerà a molestarti inviandoti molteplici messaggi, chiedendoti di incontrarlo oppure insultandoti per la tua scelta di interrompere la relazione tra di voi.
Denuncia o querela?
In tutti questi casi, quando non ti senti rispettata come persona e come donna, la soluzione è denunciare questi comportamenti all’Autorità Giudiziaria, attivando i meccanismi giudiziari che tuteleranno te ed i tuoi cari dall’aggravarsi di situazioni di tal genere sia nel caso che ti trovi in uno stato di emergenza che in una situazione apparentemente “controllabile”.
Nel primo caso se riesci ad avvisare le forze dell’ordine mentre stai subendo una violenza e queste riescono ad intervenire sul posto mentre sta accadendo, l’autore potrebbe essere arrestato o allontanato d’urgenza dalla casa familiare.
Se si tratta di un delitto perseguibile a querela devi procedere a presentarla anche oralmente alle forze dell’ordine altrimenti queste ultime non potranno procedere.
Nel caso invece non ti trovi in una situazione di emergenza è indispensabile che tu proceda a denunciare i comportamenti del tuo partner o del tuo ex all’Autorità Giudiziaria oppure potrai rivolgerti ad un centro antiviolenza che sarà in grado di darti supporto anche legale.
Ci sono, inoltre, reati per i quali le forze dell’ordine avviano il procedimento anche solo avendone notizia e si tratta dei cosiddetti “reati procedibili d’ufficio” mentre altri per i quali è indispensabile che sia la persona che subisce la violenza ad attivarsi e per questo sarà necessario presentare la querela altrimenti alcun procedimento potrà essere avviato.
Subire violenza non è mai una manifestazione d’amore. È un atto vile che non può e non deve restare impunito.
Avv. Mariateresa Sasso – avvocata penalista del foro di Trani
La collera
La collera
Il termine collera in ambito criminologico è spesso oggetto di forte ambiguità.
Quando si ascoltano alcuni casi di cronaca nera o ci si appresta a conoscere le modalità con le quali vengono perpetrati alcuni crimini violenti, spesso si parla di collera, scatti d’ira, raptus.
Finiamo quindi per associare la collera ad un mero impeto che si scatena e si esaurisce velocemente, fa perdere transitoriamente la ragione, la lucidità e ci rende capaci di qualsiasi cosa.
In realtà non è così. Bisogna partire dal dato secondo il quale il raptus non esiste ma appartiene alla cosiddetta sfera della fantapsicologia come afferma Umberto Galimberti. Tale dato, solo recentemente è andato affermandosi in ambito psicologico, psichiatrico e criminologico.
Invece è corretto parlare di consuetudine all’aggressività, all`irascibilità, all’attacco, magari ben celata e che non necessariamente è motivata da una psicopatologia sottostante. Modelli di riferimento, cultura, educazione, valori, principi morali e dettami devianti ed introiettati nel corso dell’esistenza, possono arrivare a determinare e alimentare questa consuetudine, abitudine che ad un certo punto ‘esplode’.
“Non è mai un evento che scatena la violenza ma è sempre un percorso che si conclude con la violenza”.
Questo concetto risulta più comprensibile se, ad esempio, lo si inquadra all’interno del fenomeno del femminicidio. Difatti un marito che picchia o vessa abitualmente una moglie, può, un giorno, arrivare a toglierle la vita.
Ricordate il caso italiano di cronaca nera del 2011 relativo all’omicidio di Melania Rea ad opera del marito Salvatore Parolisi?
La donna fu uccisa dal marito, verosimilmente nel corso di un litigio degenerato, colpendola con 29 ferite profonde provocate da punta da taglio.
L’uomo, riconosciuto capace di intendere e volere, in appello è stato condannato a 20 anni di reclusione.
Aldilà delle vicessitudini giudiziarie, è nella storia di vita dell’ uomo, della relazione con la moglie, nel modus operandi efferato e rabbioso adoperato nel delitto , che è possibile cogliere la consuetudine all’aggressività fatta di comportamenti e atteggiamenti indomiti che arrivano poi, ad un certo punto, a sfociare ed esplodere in un atto ‘assoluto’ e ‘definitivo’ come l’omicidio.
Quanto è importante allora individuare ed intervenire su queste consuetudini e sulle credenze che le sottendono per ridurre il rischio di “perdere il controllo”?
Dott.ssa Paola Palmiotti – Psicologa Cav Pandora